Per fare amare ai giovani questo mondo bisogna che ne diventino gli attori principali, con le loro idee e con il loro fresco entusiasmo.
Il M° Valerio Polello (6° Dan) nasce a Casale Monferrato (AL) il 07.09.55.
Si diploma Perito Industriale Elettronico, insegnando poi per quarantatre anni ai Periti Industriali e dal 2018 è in pensione. Maestro dal 1994, nonché arbitro nazionale A e Shihan, insegna nel suo dojo lo Yudanshakai Casale.
Maestro, com’è nata la sua passione per il karate?
La mia passione per il karate nasce dalla lettura di Topolino!
Io da bambino ero piuttosto gracile e attaccabrighe, quindi facile bersaglio di ragazzi fisicamente più dotati, e rimasi impressionato da un fumetto in cui Topolino con il taglio della mano abbatteva il prepotente Gambadilegno, sottolineando che quella era una tecnica di Karate, una nuova arte Marziale che arrivava dal Giappone!
Credo fosse il 1965, avevo circa 10 anni, ma quel pensiero, come per molti altri, lasciò poi il posto al calcio, al basket e infine al tennis che praticai per diversi anni, ma non a livello agonistico. Poi un giorno a 18 anni, Giorgio, il mio compagno di banco alle superiori, mi confidò che lui praticava karate, era cintura verde e mi invitò ad assistere a un allenamento di domenica mattina… era il 28 gennaio e successe l’“irreparabile”: mi innamorai del Karate.
Ricordo ancora dove ero seduto e la luce del sole invernale che entrava dalle finestre, ma più di tutto il “profumo del dojo”, se di profumo vogliamo parlare, e poi l’energia che trapelava prepotentemente dai movimenti sincronizzati di quei supermen, dai loro pugni e dai loro calci. Il giorno successivo, vincendo le avversità di mia mamma, ma supportato da mio papà, salii sul tatami.
Da alcuni Maestri ho imparato cosa fare, da altri cosa non fare, e questo è molto importante!
Quali Maestri o quali incontri ritiene siano stati importanti nella sua formazione di karateka?
Il mio primo maestro è stato lo scomparso Sergio Ceresa, all’epoca cintura marrone, con cui ho sempre avuto un rapporto contradditorio, perché se da un lato lo rispettavo come maestro, dall’altro non approvavo molti suoi comportamenti che non erano in sintonia con il mio immaginario del karate, tanto che a un certo punto ho cercato altre vie praticando anche Kendo per un anno circa, ma io volevo fare karate, anche se ormai seguivo le lezioni in modo sempre più distaccato e annoiato.
L’episodio che scatenò la mia ricerca di un “altro karate” è stato il mio esame di secondo dan a Torino nel 1987. Eravamo tutti insieme in FITAK – noi ex FIK e gli ex Fesika –, ma con commissioni d’esame separate; io sostenni un buon esame, poi vidi un “fenomeno” della Fesika che fece un esame ai miei occhi esemplare; andai a complimentarmi con lui e gli domandai se fosse un esame per terzo o quarto dan, mi rispose: “Per secondo dan e penso che sarò bocciato”! Da lì i miei dubbi divennero certezze: avevo bisogno di “quel” karate e iniziai la mia ricerca, fino a quando il 3 settembre 1989 incontrai il M° Fugazza alla Fujiyama di Milano, mi allenai con lui e riscoprii l’amore per il karate, puro e intenso come quella domenica mattina del ‘73.
Ero istruttore secondo dan, compresi subito quanto fosse lontano il mio modo di praticare da quello trasmesso dal M° Fugazza, quindi, gli chiesi il permesso di allenarmi anche con le cinture colore per cercare di recuperare quello che mi ero “perso”.
Andavo a Milano due volte a settimana con notevole impegno di tempo e di soldi, così, un po’ per passione e un po’ per necessità, aprii il mio corso per amatori e con i proventi delle quote finanziavo le mie spese.
Il mio percorso, benchè annunciato e a denti stretti accettato dal mio maestro di allora, divenne ben presto ostacolato da incomprensioni, il mio entusiasmo nel cercare di portare nel nostro dojo quanto stavo scoprendo veniva confuso con smania di protagonismo, e così nel ‘91, dopo avere ottenuto la qualifica di istruttore anche in FIKTA, lasciai il mio vecchio dojo e fondai la Yudanshakai Casale, nome che utilizzai non senza aver chiesto e ottenuto il permesso dal “mio Maestro” Carlo Fugazza, a cui devo molto e non solo per il karate, a lui devo l’incontro con il Maestro Shirai che nel ’94 mi accettò nel suo corso dell’alba del mercoledì.
Da alcuni Maestri ho imparato cosa fare, da altri cosa non fare, e questo è molto importante!
Che cosa l’ha motivata a percorrere la strada dell’insegnamento e come si considera come insegnante?
L’insegnamento nasceva anche dalla necessità economica, ma mi accorsi ben presto che non era questa la molla primaria. Appena aprii il mio dojo l’insegnamento divenne per me una necessità irrinunciabile, era il mio modo per imparare meglio e prima, attraverso l’insegnamento imparavo, anche perché ho avuto la fortuna di avere con me atleti eccezionali, a cominciare da mia figlia Chiara e mio nipote Lele Berrone, e non cito tutti gli altri per non scordarne qualcuno.
Non credevo a me stesso: io che ero stato un agonista solo “bravino”, sia in kata sia in kumite, ero riuscito a portare sul podio e in squadra nazionale non solo uno, ma diversi atleti e in tutte le specialità!
Ricordo che durante una cena il M° Naito mi disse: “Come fai tu che non sei bravo a fare karate ad avere atleti così bravi? Qual è il tuo segreto?”… Un segreto è un segreto Maestro, risposi!
Il caposaldo del mio insegnamento è l’onestà, prima di tutto verso se stessi.
Qual è il caposaldo del suo insegnamento?
Il caposaldo del mio insegnamento è l’onestà, prima di tutto verso se stessi, quindi, verso tutto il mondo che ci circonda. Essere onesti vuol dire rispettare gli impegni, non trovare scuse se non si ha voglia di allenarsi, non trovare scuse se si perde un incontro, attraverso un’onesta analisi degli eventi si comprendono i propri errori e ci si può migliorare sempre, indipendentemente dall’età o dal proprio ruolo.
Qual è la cosa più preziosa che il karate le ha insegnato?
La cosa più importante che mi ha insegnato il karate è di osare per ciò che si crede giusto, come quando contro il parere di tutti “osai” domandare al Maestro Shirai di tenere una conferenza pubblica a Casale in occasione dei Campionati italiani del 2002.
Ricordo ancora il profondo timore reverenziale con cui, dopo avergli esposto il programma della manifestazione, gli chiesi di parlare in pubblico del “suo” Karate. Dopo pochi, ma interminabili, secondi mi guardò e mi disse: “Se Valerio ha organizzato tutto questo e mi chiede questa cosa, vuol dire che è importante, quindi, la faccio” …è stato uno dei più bei regali ricevuti in tutta la mia vita!
Da quel momento ho avuto più fiducia nelle mie idee riguardo al Karate e la sua promozione e, dopo essere stato Consigliere Regionale per diversi anni, dal 2009 ricopro la carica di Presidente del Comitato Piemonte e Valle d’Aosta. Ho organizzato diversi eventi grazie alla collaborazione del mio presidente di società Dott. Gianni Fara e dello staff della Yudanshkai Casale: tre trofei Topolino (2007, 2008, 2010), un Campionato Europeo ETKF nel 2009, tre Kenshin Bobo e diversi Campionati Italiani, uno dei quali avrebbe dovuto farsi il 6 giugno scorso…
Collaboro con la FIKTA come coordinatore nell’organizzazione degli eventi agonistici nazionali, con il preciso intento di rendere le nostre competizioni più “agili” nella tempistica, ma con la massima attenzione ai protagonisti delle competizioni che sono gli atleti: il nostro futuro, a cui dedicare tutta la nostra attenzione.
Secondo lei, quali “valori aggiunti” ha oggi il karate del M° Shirai rispetto ad altre scuole?
Riguardo ai valori aggiunti del karate del Maestro Shirai, penso che ci sia poco da dire, sono lì davanti ai nostri occhi, veri e tangibili come la serietà e l’amore per il karate che il Maestro instancabilmente ci trasmette, giorno dopo giorno, con la pazienza e la costanza che solo i grandi personaggi possiedono, anche con i suoi rimproveri, a volte bruschi, che non sono mai finalizzati all’umiliazione dell’allievo, ma alla sua crescita e al suo miglioramento.
Durante l’emergenza sanitaria a causa del Covid-19 anche il mondo del karate ha maggiormente usufruito della comunicazione in Rete, lei l’ha utilizzata?
Durante questa emergenza sanitaria io ho da subito utilizzato la comunicazione in Rete. Dopo una prima settimana di disorientamento, superata con i video, ho sentito la necessità di vedere i miei allievi e così ho immediatamente attivato una piattaforma on-line, dove ho svolto tutte le lezioni con gli orari normali e seguite dal 90% dei miei allievi. Ora svolgo lezioni all’aperto e concluderò l’anno accademico con la tradizionale sessione di esami di Kyu.
La cosa più importante che mi ha insegnato il karate è di osare per ciò che si crede giusto.
Cosa auspica per il futuro del karate?
La cosa che auspico per il futuro del karate, del “nostro Karate”, è che i giovani comprendano e amino la bellezza e la profonda onestà di quanto stiamo imparando e insegnando, e che a loro volta non lascino disperdere l’immenso tesoro del Maestro Shirai.
Quali sono i suoi progetti futuri?
I miei progetti vanno in questa direzione: per fare amare ai giovani questo mondo bisogna che ne diventino attori principali, con le loro idee e con il loro fresco entusiasmo: a me piace correre e quando corro, se vedo uno più veloce di me mi sposto di lato, senza rallentare, ma gli lascio il passo e trascinato dalla sua scia e dal suo entusiasmo vado un po’ più forte anch’io, così spero di fare con il Karate nei prossimi anni.